
Niente riviste porno al boss in carcere per evitare messaggi dall’esterno: la sentenza della Cassazione
Non acconsentire alla richiesta di ricevere riviste pornografiche in carcere non rappresenta, secondo la
Cassazione, la violazione di un diritto fondamentale. La Suprema Corte si è così pronunciata sul caso di un
boss della ‘ndrangheta sottoposto al 41 bis che aveva chiesto in cella delle riviste pornografiche. Davanti al
rifiuto di Rebibbia, aveva fatto ricorso.
Ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione ritenendo illegittimo e pericoloso il pronunciamento del
Tribunale di Sorveglianza di Roma che riconosce il diritto dei detenuti di ricevere riviste pornografiche in
carcere. Un boss della ‘ndrangheta calabrese, sottoposto al regime del 41 bis, ha richiesto nel settembre
2020 alcune riviste pornografiche. La direzione carceraria non glielo ha permesso sostenendo di non voler
fornire le riviste per evitare che dall’esterno qualcuno potesse trasmettere messaggi criptati al boss. Il
ricorso presentato dai suoi legali aveva però trovato un nuovo punto di incontro: lasciare soltanto le
immagini ed eliminare qualunque parte di testo. Il Tribunale di sorveglianza aveva acconsentito alla
sottoscrizione di un abbonamento a una rivista pornografica. Ogni numero andava consegnato solo dopo
rigorosi controlli. I dirigenti del carcere di Rebibbia però hanno deciso di rivolgersi alla Corte di Cassazione.
Secondo la Suprema Corte, il diritto alla sessualità del detenuto e la possibilità prevista dalla legge di
chiedere e ricevere riviste pornografiche, non sarebbe sufficiente a giustificare la concessione prevista dal
Tribunale si sorveglianza. per la Cassazione, l’erotismo non sarebbe un presupposto indispensabile e
dunque negare la concessione in favore della sicurezza pubblica non rappresenterebbe una violazione di
diritti fondamentali. Per questo motivo, la decisione del Tribunale di sorveglianza è stata respinta: il boss
detenuto al 41bis non potrà ricevere riviste pornografiche per motivi che si rifanno alla sicurezza pubblica.
Neanche l’iniziale accordo riguardante le immagini senza testo ha fatto cedere la Suprema Corte che ha
invece deciso di non andare incontro alla violazione di alcun tipo di diritto fondamentale di un detenuto.