JIMI HENDRIX, 50 ANNI DALLA MORTE DEL PIU’ GRANDE CHITARRISTA DEL ROCK

La mattina del 18 settembre 1970, colui che presto sarebbe stato unanimemente riconosciuto come il più grande chitarrista della storia del rock morì per asfissia causata da una overdose di barbiturici al Samarkand Hotel di Londra, aveva 27 anni. La passione per la chitarra era cominciata presto per il giovane James Marshall che già alla metà degli anni Cinquanta, quando frequentava la Horace Mann Elementary School di Seattle, non si separava mai da una scopa con cui faceva finta di suonare, tanto da attrarre l’attenzione dell’assistente sociale che inutilmente cercò di convincere la scuola a fornire al piccolo James una chitarra vera. Fu un ukulele con una corda sola, trovato mentre aiutava il padre nello sgombero di una cantina, il suo primo strumento. Era il 1957 e Jimi cominciò così nota per nota a imparare a orecchio le prime canzoni, in particolare era ossessionato, e non era l’unico in quel momento, da “Hound Dog” di Elvis Presley. Nel 1958, all’età di 15 anni, Hendrix acquistò per 5 dollari la sua prima vera chitarra acustica e passava le giornate a ascoltare e copiare musicisti come Muddy Waters, B.B. King, Howlin’ Wolf che proprio in quegli anni stavano portando a un pubblico più ampio il blues sbocciato nel Delta del Mississippi prima della guerra. La prima melodia che imparò a suonare fu il tema del telefilm “Peter Gunn” scritto da Henry Mancini. Finalmente, nel 1959, il padre Al si decide a regalare al figlio, che nel frattempo aveva formato la sua prima band i Velvetones, una chitarra elettrica. Nel 1961, durante il servizio militare Hendrix incontrò Billy Cox che, sentendolo suonare, descrisse il suo stile come una combinazione tra “John Lee Hooker e Beethoven”. Cox prese in prestito un basso e i due cominciarono a suonare insieme fino a formare un loro gruppo, i King Casuals. Era il 1963 e fu allora che, per non essere da meno del secondo chitarrista della band, Jimi imparò il trucco di suonare la chitarra con i denti. Trasferitisi a Nashville, in quella Jefferson Street che era allora il cuore della scena rhythm and blues della città simbolo della musica negli Stati Uniti, i King Casuals si fecero notare e in particolare Hendrix che oltre a suonare nella sua band cominciò a essere reclutato dalle figure di maggior spicco della musica nera dell’epoca tra cui Wilson Pickett, Jackie Wilson, Slim Harpo, Sam Cooke e Ike & Tina Turner. Il giovane Hendrix era ormai maturo per il grande salto e nel 1964 registrò in studio i primi pezzi con gli Isley Brothers per il singolo “Testify” e nel successo di Don Covay, quella “Mercy, Mercy” che diventerà subito, dall’altra parte dell’Atlantico, uno dei primi cavalli di battaglia dei giovanissimi Rolling Stones. Nel luglio 1965 fece la sua prima apparizione televisiva nello show “Night Train” del Channel 5 di Nashville insieme alla band di Little Richard, e come supporto a Buddy e Stacy in “Shotgun”. La registrazione video dello spettacolo è il primo filmato conosciuto di una esibizione live di Hendrix. Nel maggio del 1966, mentre suonava con Curtis Knight and the Squires in uno dei locali notturni più popolari di New York, il Cheetah Club, Linda Keith, allora fidanzata di Keith Richards, rimase folgorata dal suo modo di suonare e lo segnalò al chitarrista leader degli Stones che lo mise in contatto con Chas Chandler, ex Animals in cerca di nuovi artisti. Chandler fu colpito dalla sua versione di “Hey Joe” e lo portò con sé a Londra. Era il settembre del 1966. A Londra Chandler costruì intorno a lui la band destinata ad esaltarne il talento e a lanciarlo verso la leggenda, The Jimi Hendrix Experience. Sotto l’egida di Kit Lambert e Chris Stamp, manager degli Who, che scritturano la band per la Track Records arriva il successo con pezzi storici come “Hey Joe”, “The Wind Cries Mary” e “Purple Haze”. Arriva il primo album: “Are You Experienced”. Le sue esibizioni live sono sulla bocca di tutti, è lui, londinese di adozione, il nuovo fenomeno della scena rock britannica. Il 18 giugno 1967 al Monterey Pop Festival, presentato da Brian Jones come “l’artista più entusiasmante che abbia mai sentito”, Hendrix si lancia in una performance straordinaria che si conclude con uno dei momenti topici della storia del rock quando distrugge la sua chitarra dandogli fuoco. Dopo il grande successo del terzo e ultimo album, “Electric Ladyland”, uscito nell’ottobre del 1968 al termine di una lunga e sofferta gestazione e da molti considerato il suo capolavoro, i rapporti nella band cominciarono a deteriorarsi anche a causa della dipendenza di Hendrix da alcol e farmaci, un mix che lo rendeva aggressivo e gli causò problemi con le autorità, fino all’arresto all’aeroporto di Toronto per possesso di eroina e hashish. Una rottura annunciata proprio sul palco di Woodstock quando Hendrix corresse Chip Monck, che aveva presentato il gruppo come “The Jimi Hendrix Experience”: “Abbiamo deciso di cambiare tutto e di chiamarci “Gypsy Sun and Rainbows”. Non siamo altro che una “Band of Gypsys”. Come “Band of Gypsy” insieme al vecchio amico Billy Cox al basso e Buddy Miles alla batteria, Hendrix registrerà uno straordinario album di potente rock dalle forti tinte funk, l’unico ufficiale dal vivo della sua carriera. È la primavera del 1970 quando inizia quel “Cry Of Love Tour” che lo porterà in Europa a settembre. Il 6, al Festival dell’Isola di Fehmarn in Germania, Jimi Hendrix si esibisce per l’ultima volta in un concerto dove viene accolto dai fischi del pubblico arrabbiato per l’annullamento del concerto la sera prima. Scende dal palco e parte per Londra dove il 16 suonerà in pubblico per l’ultima volta in una jam con i War di Eric Burdon. Meno di 48 ore sarà trovato morto nel letto dell’appartamento che condivideva con l’ultima compagna, Monika Dannemann, al Samarkand Hotel.

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