Intervista a Nelson La musica è sempre stata l’epicentro della sua vita, visto che ha cominciato a scrivere e comporre canzoni fin dalla giovane età.


La musica è sempre stata l’epicentro della sua vita, visto che ha cominciato a scrivere e comporre canzoni
fin dalla giovane età. Attività che, di recente, ha virato pure sulla recitazione, poiché fa parte del cast
secondario di Un Posto al Sole nel ruolo di Sergio Castellano. Un ruolo di cui Nelson, cantautore, paroliere e
ora attore, è estremamente soddisfatto, perché gli dà modo di confrontarsi con un mondo che sta pian
piano scoprendo e gli consente di mettersi sempre più in gioco.
Salve Nelson, a quali progetti si sta dedicando in quest’ultimo periodo?
“Sto facendo tante cose, un po’ diverse l’una dall’altra. Di alcune non posso neanche parlarne, per problemi
contrattuali. In linea di massima, posso dire che mi sto dedicando alla scrittura in prosa. In questo
momento, sto scrivendo un romanzo, ma non posso parlare nello specifico dell’argomento che tratterà. E’
ispirato ad una storia vera e vedrà la luce entro la fine dell’anno. Si tratta del mio primo romanzo, anche se
ho sempre amato scrivere in prosa. La passione per la prosa mi ha portato prima a scrivere dei racconti, per
poi andare anche sulle canzoni, dato che da piccolo ho ricevuto, in regalo, una chitarra da mia madre”.
E’ emozionato di fronte a questo debutto?
“Certo. Se ci pensa mi sono impegnato per ‘confondere le idee’ a chi mi segue, tra canzoni che scrivo e
interpreto da me e tra quelle dove lascio la mia firma come autore, passando per la mia attività d’attore
piuttosto recente ed iniziata qualche anno fa. Inoltre, ho partecipato al Premio Solinas per aver scritto una
sceneggiatura, dove ho vinto una menzione speciale nell’edizione di quest’anno, che ha visto in gara 480
partecipanti, prima dell’elezione dei 9 finalisti, di cui facevo parte anche io. Per me, quella menzione è stata
importante, perché era la prima volta che scrivevo un film. Mentre prima l’avevo fatto solo per ciò che
concerneva la parte musicale delle canzoni per Song’ e Napule, Ammore e malavita, Il ladro di giorni.
Quest’ultimo, diretto da Guido Lombardi con Riccardo Scamarcio e Augusto Zazzaro, è stato nella Top10 dei
film più visti di Netflix. Una grossa soddisfazione visto che è uscito una settimana prima del lockdown e al
cinema non fece in tempo a vederlo nessuno. Il film è davvero bello; l’uscita in quel periodo è stata una
sfortunata coincidenza, non ha avuto la possibilità di farsi notare”.
Prima ha citato la chitarra che le ha regalato sua madre. Quando ha capito che voleva incentrare tutta la
sua vita sulla musica?
“Quando incominci a suonare hai molto persone che non ti incoraggiano da questo punto di vista. Si pensa
erroneamente che quello della musica possa essere un mestiere poco sicuro; o per lo meno questa era la
convinzione ai tempi in cui ero piccolo. Volevo fare il cantautore da metà degli anni ’90; i miei genitori e
parenti cercavano di scoraggiarmi. L’importante è difendere il proprio sogno perché, oggi come oggi, non
esiste un lavoro più sicuro di un altro. Tutto dipende dalla forza delle tue decisioni, dal talento; se vuoi
ottenere qualcosa la devi inseguire. E’ questo l’incoraggiamento che mi è capitato di dare ai ragazzi più
giovani, che ho incontrato per raccontare la mia esperienza. Bisogna credere nel proprio sogno e difenderlo
contro tutto e tutti. C’è chi tenterà di scoraggiarti perché tiene realmente a te, chi invece tenterà di farlo
per il motivo opposto. Bisogna essere attenti e fidarsi di se stessi; è necessario studiare, migliorarsi
costantemente perché nessuno nasce imparato, come si dice a Napoli. L’importante è avere talento, anche
se ogni giorno lo stesso va misurato con l’esperienza. Mi sono accorto che poteva diventare un lavoro
quando mi sono reso conto che potevo guadagnarci qualcosa. E lì che ho capito che la mia passione per la
musica poteva diventare un lavoro. Altrimenti, avrei cercato di fare altro, se non fossero arrivati i risultati”.
Abbiamo citato la sua attività recente nel modo della recitazione. Sicuramente bisogna citare il ruolo di
Sergio Castellano in Un Posto al Sole. Le piace far parte della soap?
“Mi ritengo molto fortunato a far parte della famiglia di Un Posto al Sole. Ho un grandissimo rispetto per
questo real drama. Quando so di dover andare sul set mi sento di buon umore; ci sono persone con cui mi

piace condividere le mie giornate. Sono tutti dei professionisti eccezionali: dai registi agli scenografi, così
come gli sceneggiatori e le costumiste. Non riesco davvero a trovare dei punti negativi. Non sono tra i
protagonisti principali della produzione, ma quello che faccio mi riempie lo stesso di soddisfazione.
Probabilmente perché mi responsabilizza mettermi al lavoro con delle scritture pensate da altri, essendo
abituato ad interpretare le cose che io stesso scrivo. Anche perché, almeno per una volta, non è una mia
responsabilità; quasi come uno chef che si vede portare a tavola un piatto non fatto da lui”.
Un personaggio, quello di Sergio, che un po’ si muove nel suo campo musicale, visto che è un tecnico del
suono.
“Questo non è casuale. I responsabili dei casting sono molto attenti a ritagliare dei ruoli che possano essere
cuciti addosso alle persone. In primis, perché sono personaggi che interpreti per un periodo molto lungo
della tua vita e quindi, per forza di cose, devono starti bene; ti devono assomigliare. Ovviamente, con
Sergio ho anche delle differenze: lui è un tecnico molto razionale, preciso. Sembra pure un punto di
riferimento per i problemi sentimentali delle persone che incontra. Invece, io sono un po’ più ‘pazzarello’,
meno responsabile e tecnico, anche se maggiormente romantico rispetto a lui. Comunque sia, è vero: in
qualche modo è collegato a ciò che faccio nella vita”.
In generale che cosa pensa del successo della soap?
“Penso che sia importante per la Rai, ma anche per Napoli. Se va avanti da tanti anni, un motivo ci sarà.
Vuol dire che è fatta bene, si sente l’amore che le persone dedicano alla soap. Non è facile girare tutti i
giorni con degli stimoli sempre nuovi per andare avanti. Ammiro molto tutte le persone che ci lavorano”.
Nel corso della sua carriera ci sono stati vari riconoscimenti: alcuni David di Donatello, due Nastri
D’Argento. Che emozione si prova a riceverli?
“Sì, i Nastri sono arrivati per il film Ammore e Malavita, per la miglior colonna sonora e la miglior canzone.
Riceverli è un’iniezione di fiducia. Soprattutto perché il mio mestiere è molto insicuro; sai quello che fai
oggi, ma mai quello che farai domani. Hai sempre bisogno di conferme, o forse sono io ad averne bisogno. E
così nei momenti un po’ più complicati, riguardi i premi e dici tra te e te che non sei messo così male.
Questo ti dà la forza di continuare. Ovviamente, non vivo i premi come un’ossessione; se arrivano sono
contento, ma va bene lo stesso. Anche perché a volte puoi fare delle cose grandissime, che non vengono
capite oppure non arrivano al pubblico. Tuttavia, mi sento di dover ringraziare tutte le persone che hanno
lavorato con me, perché è anche grazie a loro se sono riuscito a portare a casa dei premi. Ad esempio, ci
sono Pivio e Aldo De Scalzi, che hanno partecipato alla composizione di Bang Bang, che mi ha fruttato il
secondo David. Per il primo, invece, ho potuto contare su Franco Riccardi, Rosario Castagnola, Sarah
Tartuffo. Sono stati anche loro importantissimi per ricevere i premi, di cui non ho solo io il merito, così
come i film; perché se non fossero stati belli nemmeno i brani sarebbero stati apprezzati. Per questo dico
sempre che bisogna trovarsi nel posto giusto al momento giusto”.
Qual è il brano, tra quelli che ha scritto, a cui l’associano di più?
“Sicuramente quello che fa parte della colonna sonora de Il ladro di giorni. Probabilmente perché lo canto,
mentre gli altri sono interpretati da altri. Capita anche che mi chiedano ‘A Verità, pure se a cantarlo è
Franco Ricciardi. Tra l’altro, su di me si era sparsa la voce che scrivessi soltanto in napoletano, cosa che non
era. Anzi, l’ho scoperto tardi, perché venivo da una formazione cantautorale fatta da De Gregori, De Andrè
e così via. Mi definisco un ‘napoletano borghese’; non mi capitava spesso di parlarlo in casa. E, quando ho
avuto l’occasione di approfondirlo tramite le persone che ho incrociato nel mio cammino di vita, ho
scoperto che col napoletano puoi dare risalto a sfumature del lato umano con cui, magari, con l’italiano ti
trovi in difficoltà. Il napoletano ha dei concetti più semplici, più diretti”.
E’ soddisfatto del suo percorso fino ad oggi? Ci sono degli obiettivi che si è prefissato per il futuro?

“Mi ritengo già molto fortunato. Se sogno in grande, mi piacerebbe però far parte di un film in lizza per gli
Oscar, anche in un piccolo ruolo o scrivendo una metà canzone. Se mi dovesse capitare sarei davvero contento”.Intervista a Nelson di Roberto Mallò