Joao Kosulo Da Silva è nato in Angola, ed è ancora bambino quando raggiunge la Svizzera con la famiglia.
Grazie alla musica tesse le prime amicizie. Oggi è lui a voler aiutare giovani musicisti in erba.
Joao Kosulo Da Silva dedica gran parte del suo tempo libero alla musica, nello studio di registrazione di
casa.
Ho appuntamento con Joao Kosulo Da Silva alla stazione di Chiasso. Curiosa coincidenza: è proprio qui
che, una trentina d’anni fa Joao, ancora bambino e in fuga con la famiglia dall’Angola, metteva per la prima
volta piede in Svizzera. Oggi il giovane vive a Vacallo, ha il passaporto rossocrociato e si è costruito una
vita nel Mendrisiotto. Camminando verso il centro città, diversi passanti gli fanno cenno e lo salutano: «Qui
ci si conosce tutti. Mi sento chiassese – racconta sorridente –. Quando sono andato in comune per
ottenere la nazionalità svizzera, tutti i consiglieri erano stupiti: “Ma come? Non ce l’hai ancora?”».
L’arrivo in Svizzera
Il trentaseienne è sorridente e sereno nel raccontare la sua storia, ma non ha avuto un’infanzia facile.
«Prima di arrivare in Svizzera, dove la richiesta d’asilo ci è stata inizialmente rifiutata, abbiamo vissuto un
anno a Milano. I primi tempi dormivamo per strada, poi io e mia mamma siamo stati ospitati in un centro
d’accoglienza, mentre mio papà ha dovuto dormire in strada ancora per un po’. Ho ricordi frammentati, di
cui molti positivi, soprattutto grazie all’ospitalità delle suore: sono loro che mi hanno insegnato a leggere,
ed è con loro che abbiamo fatto le prime vacanze al mare».
Viaggi memorabili
Le sue ultime vacanze memorabili, invece, risalgono a qualche anno fa e sono un soggiorno in Andalusia,
dove era partito senza un soldo in tasca e si era mantenuto facendo il musicante di strada, e un viaggio di
tre settimane sul cammino di Santiago di Compostela. «Mi piace viaggiare così, improvvisando. Ma grazie
Dio ho amici che si preoccupano per me, e che prima che partissi per Santiago mi avevano dato una giacca
termica e una torcia!».
Quando si tratta di viaggiare, Joao si definisce un ragazzo «con la testa per aria», ma per il resto ce l’ha ben
sulle spalle. «Sono quasi troppo organizzato» sorride. Occupa un posto di responsabilità al negozio Coop di
Mendrisio, è padre di un bimbo di cinque anni, e nei ritagli di tempo si dedica con successo alla sua
: la musica, che lo accompagna dalle medie, assieme allo sport. «Una delle chiavi della mia integrazione è
stato il calcio. Devo molto al mio allenatore, che, quando ero adolescente, mi aveva accolto sotto la sua ala
come un figlio. I primi pranzi e cene a casa di una “famiglia bianca” sono stati da lui, e quando mia mamma
non aveva soldi per pagare la retta, chiudeva un occhio. Gliene sono grato ancora oggi. Ma è la musica che
è stata la mia salvezza. Grazie a lei mi sono fatto degli amici: si studiava insieme, si facevano concerti
insieme, si bigiava insieme» scoppia in una risata.
Stereotipi duri a morire
Oggi Joao compone, spaziando dal suo primo amore, il rap, all’hip hop e alla musica elettronica: «Mi metto
in gioco, mi piace sperimentare. Comporre la musica mi fa sentire capace e orgoglioso. Scrivere i testi è
un’altra cosa. È la parte più intima, ti metti in discussione e riesci a vedere le cose da un’altra prospettiva.
Ma è a doppio taglio, perché ti esponi molto. In tanti mi avevano rinfacciato l’ultima frase del mio primo
pezzo, “L’asilante”, dove dico “In una terra che non è sua e non lo sarà mai” perché sembra contraddire il
mio impegno per l’integrazione. In realtà io mi sento ticinese, ma quando qualcuno che non mi conosce mi
vede, la prima cosa che nota di me è il colore della mia pelle».
Sogni realizzati
Joao ha allestito un piccolo studio di registrazione a casa. «Mi piace collaborare con ragazzi più giovani e dare loro una mano. Per l’ultimo singolo per esempio, ho affidato il pezzo alla voce di una giovanissima cantante, Giada, entusiasta che il brano venga trasmesso alla radio».
L’estate si annuncia ricca di impegni, tra mix, composizioni e riprese di un videoclip. E poi c’è il progetto di viaggio in Angola per l’anno prossimo. «Come sempre, non prevedo nulla, vorrei semplicemente andare nel paese in cui sono nato e vedere cosa provoca in me. E se il viaggio andrà bene, ci porterò mio figlio: voglio fargli vedere da dove vengo e dove sono cresciuti i suoi nonni».
Sogni nel cassetto? «Volevo rendere fieri i miei genitori con la mia carriera professionale, e ci sono riuscito. Volevo diventare musicista, e a modo mio lo sono. Volevo fondare una famiglia. Sono separato e come compagno sono una frana, ma come papà credo di essere un grande! – confida –. No, non credo di avere sogni: sto vivendo il mio, devo solo mantenere l’equilibrio!».