Armi letali all’Ucraina, ok del governo Draghi. Oggi il sì delle camere

Cronache di palazzo. I mal di pancia leghisti passano con una telefonata del premier. E Conte convince i

5S. Stato d’emergenza fino al 31 dicembre

Mario Draghi
 Mario Draghi © LaPresse

Ci saranno i missili terra-aria Stringer, gli Spike da usare contro carri armati ed elicotteri. Ci saranno le

mitragliatrici e i mortai. Spesa totale una cinquantina di milioni di euro che si sommano ai 12 già stanziati:

quelli però servivano a fornire solo sistemi di difesa «non letali». Ora invece la letalità è garantita e

festeggiata: finalmente anche noi italiani, noi europei facciamo sul serio ed è la prima volta. Mica vero,

l’Italia ha fatto sul serio già nel ’99, quando nei raid e nei bombardamenti su Belgrado è stata secondo solo

agli Usa. Ma il Kosovo all’epoca non era ancora uno Stato, quindi si può dire che questa è la prima volta e

brindare: belligeranti no ma in anticamera ed è già qualcosa.

PER PORTARE A CASA il decreto che consentirà poi al ministero della Difesa di far partire l’armamentario

da Pisa per la Polonia e di lì oltre il confine ucraino Draghi ha dovuto faticare, contattare, insistere e

convincere. Prima di tutto c’era un problema di metodo, lamentato un po’ da tutti. Il dibattito in aula, aperto

dalle comunicazioni del premier, è in calendario oggi. Varare il decreto senza aspettare il parlamento e

anticipando le sue decisioni non suonava come particolarmente rispettoso della centralità del medesimo.

Ma si sa che in questi giochi di prestigio l’Italia è imbattibile. Il decreto è uscito con la formula «dopo una

preventiva risoluzione delle Camere». Così almeno la forma è salva. Oggi quasi l’intero parlamento,

opposizione di FdI inclusa ma senza il voto di quella di sinistra, approverà la risoluzione che conferma la

decisione già assunta dal governo.

DI OSTACOLI PERÒ ce n’erano anche nella sostanza: Lega, 5 Stelle e LeU ancora in mattinata erano contrari

al fornire «armi letali». Matteo Salvini, il più rumoroso di tutti, ripeteva «Not in My Name», Giuseppe Conte

doveva fare i conti con i non pochi parlamentari pentastellati contrari all’invio delle armi. Del leghista si è

occupato Mario Draghi con una lunga telefonata nella quale ha spiegato, come in una ripetizione allo

studente non troppo sveglio, qual è la collocazione dell’Italia, quali gli impegni magari non formali ma

stringenti con i partner. Salvini come al solito si è convinto e piegato: «Il governo avrà il pieno sostegno

della Lega. Voteremo le mozioni unitarie sia a Roma che a Bruxelles. Un popolo sotto attacco ha il diritto di

difendersi». Però, aggiunge fiero il leghista, «invitiamo alla cautela». Ruggente.

IL PRESIDENTE del consiglio è intervenuto anche su Conte che, da avvocato esperto in queste faccende, ha

messo a punto la formula che dovrebbe convincere quasi tutti i suoi parlamentari. La situazione

eccezionale giustifica «iniziative di sostegno che consentano all’Ucraina di esercitare il diritto alla legittima

difesa». Il concetto tornerà con parole quasi identiche nella risoluzione di maggioranza, nella quale si

parlerà appunto di «eccezionalità» e di «legittima difesa». Non tutti i 5 Stelle voteranno però la risoluzione e

in particolare dovrebbe votare contro il senatore Vito Petrocelli, presidente della commissione Esteri.

L’agenda ucraina affrontata nel decreto di ieri consta di altri due capitoli. Il primo è l’assistenza ai profughi.

Il governo ha deliberato lo stato d’emergenza fino al 31 dicembre e stanziato 10 milioni per garantire

assistenza. Ci saranno 13mila posti in più nei Cas e altri 3mila nel Sai, senza bisogno di aver avanzato la

domanda di protezione internazionale per essere accolti.

LAST BUT NOT LEAST l’energia. L’eventualità di misure emergenziali di razionamento dell’energia e ricorso

a fonti di energia alternativa è presa in considerazione, fa sapere palazzo Chigi, solo in via ipotetica, giusto

per essere pronti per ogni evenienza. In concreto si tratterebbe di un piano di riduzione programmata

dell’energia e della riapertura delle centrali a carbone e a olio combustibile per sostituire se necessario una

parte almeno del gas russo. A decidere se e cosa fare sarà il ministro della Transizione ecologica Roberto

Cingolani. È una misura cautelare e certo non strutturale. Per il passo successivo e ormai obbligatorio, la

diversificazione delle fonti energetiche con l’aumento della produzione interna, l’accelerazione sulle

rinnovabili e la costruzione dei rigassificatori, ci vorrà un piano ben più articolato e politicamente delicato.