Andrea Tidona in Ifigenia in Aulide, regia di Alessandro Machia a Teatri di Pietra di Sutri, sabato 15 luglio

IFIGENIA IN AULIDE
di Euripide
regia di Alessandro Machìa
versione italiana di Fabrizio Sinisi
con
Agamennone | Andrea Tidona
Clitemnestra | Alessandra Fallucchi
Achille | Roberto Turchetta
Ifigenia | Carolina Vecchia
Coro | Lorenza Molina, Irene Mori, Vanessa Guidolin 
con la partecipazione di PAOLO LORIMER nel ruolo di Menelao
scene Katia Titolo | costumi Sara Bianchi | luci Giuseppe Filipponio
suono Giorgio Bertinelli | movimenti coreografici Fabrizio Federici | assistente alla regia Lorenzo
Molina | organizzazione Rossella Compatangelo

Dopo il successo riscosso durante la stagione teatrale appena conclusa, ANDREA TIDONA torna ad
essere il protagonista di IFIGENIA IN AULIDE di Euripide, con la raffinata regia di ALESSANDRO
MACHÌA, nella versione italiana di FABRIZIO SINISI.

“Ifigenia in Aulide” – una delle opere più celebri del teatro greco antico – narra di Agamennone,
comandante dell’esercito greco, che si trova di fronte a una scelta drammatica: sacrificare la sua
stessa figlia, Ifigenia, per calmare la dea Artemide e ottenere il vento necessario per consentire
alla flotta greca, bloccata in Aulide, di salpare per la spedizione contro Troia. Andrea Tidona –
attore siciliano tra i migliori interpreti del teatro e del cinema italiano, famoso per aver
interpretato il giudice Giovanni Falcone nella serie TV Mediaset “Il capo dei capi” e per aver vinto il
Nastro d’argento nel 2004 per il film “La meglio gioventù” di Marco Tullio Giordana, in questo
spettacolo, con la sua esperienza e la sua presenza scenica straordinaria, darà vita a questo
personaggio complesso e tormentato.
Accanto a Tidona, un cast eccellente composto da Alessandra Fallucchi nel ruolo di Clitemnestra,
Paolo Lorimer nel ruolo di Menelao, Roberto Turchetta nel ruolo di Achille e Carolina Vecchia nel
ruolo di Ifigenia. Il coro, composto da Lorenza Molina, Irene Mori e Vanessa Guidolin, offrirà una
voce unica e coinvolgente per accompagnare l’azione drammatica.
Lo spettacolo – dopo una prima replica dell’8 luglio a Formia – avrà luogo presso il suggestivo
scenario dei Teatri di Pietra di Sutri, sabato 15 luglio alle 21.00. Questa location unica aggiungerà
un ulteriore elemento di magia e autenticità allo spettacolo, creando un’esperienza
indimenticabile per il pubblico.

Note di Alessandro Machìa
Ultima delle tragedie euripidee, rappresentata postuma nel 399 a.C. in un periodo di profonda crisi
del modello della pòlis greca – di lì a poco ci sarebbe stata la disfatta di Atene contro Sparta e la
fine di un modello politico e democratico; Ifigenia in Aulide è una tragedia ambigua in cui, come
nell’Alcesti, si mette in scena un sacrificio e una morte che poi si riveleranno apparenti. Gli dèi di
fatto non ci sono più, il tragico sembra franare: gli eroi in Euripide sono solo uomini lacerati,
deboli, mutevoli che agiscono in base ai loro desideri e alle loro paure, lontani anni luce sia dal
modello omerico che da quello eschileo. A dominare è la ragione strumentale e il discorso del
potere. Emblematico, in questo senso, è il trattamento che Euripide fa di Achille, eroe demitizzato,
quasi un personaggio comico, incapace di corrispondere al suo stesso mito originario; che non
agisce, evita lo scontro con i soldati facendosi paladino, alla maniera dei sofisti, della persuasione e
del dialogo, pur ripetendo – quasi volesse rincorrere quell’Achille omerico che Euripide non gli
permette di essere – che lui salverà Ifigenia. Come quando dice a Clitemnestra: «Ti sono apparso
come un dio e non lo ero. Ma lo diventerò».
La crisi del sacro in Euripide emerge anche dalla figura dell’indovino, qui considerato dai
protagonisti alla stregua di un volgare ciarlatano, di un imbonitore funzionale a tenere a bada la
massa. Nella costruzione dello spettacolo, ho voluto seguire il trattamento euripideo del mito
cercando di far emergere la violenza che abita il testo e le contraddizioni di personaggi che
Euripide presenta come “umani troppo umani”; la loro inadeguatezza al mito, l’abisso del privato
al di sotto del mascheramento della parola pubblica, l’ambizione, la doppiezza. Tutto è ambiguo,
apparente, a cominciare dal dialogo iniziale tra Menelao e Agamennone, da cui emergono due
figure deboli, mediocri e velleitarie, che si scambiano accuse dicendo la verità l’uno dell’altro.
Euripide crea una tensione tra il mito e la realtà, utilizzando il primo come mascheramento della
seconda.
In questa versione di Fabrizio Sinisi, Agamennone è costretto dalla necessità verso cui lo spingono
gli eventi a sacrificare Ifigenia, trascinato dal motore della Storia e da quella impossibilità di
conciliare l’essere re con l’essere padre. Ma, ancor di più, a venire alla luce attraverso il verso di
Sinisi è l’umano euripideo che, oltre le costrizioni oggettive in cui si trova incastrato il re, fa
emergere il suo desiderio, la sua personale ambizione sempre accompagnata dalla paura e
dall’incapacità di agire.
L’abbassamento di tutti i personaggi della tragedia è funzionale all’innalzamento della giovane
Ifigenia, “nata forte”, che decide di sacrificarsi, di accettare e addirittura di volere il destino che è
stato scelto per lei dal padre, in un trionfo di amor fati che solo può riscattare dalla febbre
fagocitante che qui prende tutti i personaggi della tragedia – compresa Clitemnestra – ora

lontanissima dalla donna implacabile e inconciliabile descritta nell’Orestea di Eschilo.
Nell’esaltazione finale nella quale Ifigenia accetta la sua morte, c’è l’assunzione piena del punto di
vista del padre Agamennone e del maschile, ma non per debolezza: accettando e decidendo la sua
morte Ifigenia si individualizza, esce dall’indistinzione diventando ‘qualcosa’ nella morte
imminente, un comandante lei stessa, sollevando allo stesso tempo il padre amato dalla piena
responsabilità del sacrificio.
Una scelta netta della regia è stata quella di recuperare nell’esodo, considerato spurio, l’ipotesi
che a raccontare della sostituzione di Ifigenia con una cerva non fosse un
messaggero ma il deus ex machina della dea Artemide. Nello specifico, ho voluto affidare il
racconto dell’apoteosi della giovane a un’altra giovane donna, velata: una Straniera, volutamente
interpretata dalla stessa attrice che interpreta Ifigenia, in modo da suggerire un cortocircuito
emotivo (la voce della Straniera è la stessa voce che il pubblico ha ascoltato per più di un’ora, e
solo il volto è interdetto dal velo) e allo stesso tempo svelare la natura convenzionale del deus ex
machina euripideo; quest’ultimo è suggerito peraltro da una battuta cruciale di Clitemnestra nel
finale, quando dice: «come non dire che queste sono solo favole senza fondamento per farmi
smettere di piangere a lutto per te?».
Poco importa se la giovane si è davvero salvata all’ultimo istante, il tragico si è già pienamente
dispiegato nella sua natura inemendabile, ed è passato all’interno della coppia, nella sfera
borghese, segno di come la tragedia euripidea si sfaldi durante il suo farsi e annunci quasi il
dramma borghese. Il finale, in cui Agamennone e Clitemnestra, marito e moglie stanno faccia a
faccia, spogliati dagli abiti tragici è il compimento – che la regia ha voluto attuare – di questo
slittamento dalla tragedia al dramma.
link trailer > https://youtu.be/ec2hFs2Mje8

DATE ESTIVE
FORMIA (Festival del Teatro Classico) – 8 luglio
SUTRI (Teatri di Pietra) – 15 luglio
SARSINA (Plautus Festival) – 5 agosto 
ORIOLO (La Portella) >> fine agosto, data da definire

( Comunicato stampa Foto di Manuela Giusto)