Venezia, Teatro La Fenice: Robert Trevino interpreta Beethoven e Strauss

Venezia, Teatro La Fenice, Stagione Sinfonica 2022-2023
Orchestra del Teatro La Fenice
Direttore Robert Trevino
Ludwig van Beethoven:Sinfonia n. 6 in fa maggiore op. 68 “Pastorale” ; Richard Strauss: “Also sprach

Zarathustra” op. 30



È tornato sul podio dell’Orchestra del Teatro la Fenice Robert Trevino, uno dei più coinvolgenti direttori

americani contemporanei, per dirigere un programma costituito da due titoli universalmente famosi: la

Sesta Sinfonia di Beethoven e il poema sinfonico Also sprach Zarathustra di Richard Strauss. Due partiture

dai caratteri diversi, ma accomunate dal loro riferirsi a un programma extramusicale – seppur interpretato

con libertà –, in cui il rapporto Uomo-Natura gioca un ruolo fondamentale.
Per quanto riguarda il Beethoven sinfonico, il contrasto tra la Quinta e la Sesta sinfonia è nettissimo,

nonostante questi due lavori siano stati composti contemporaneamente ed eseguiti entrambi per la prima

volta nel corso di una memorabile serata, nel dicembre 1808. La Sesta sinfonia reca il sottotitolo

“Pastorale”, ad indicare che i cinque movimenti che la compongono evocano ricordi della campagna. Ma

l’autore stesso mette in guardia dall’enfatizzare, in questa partitura, la componente descrittiva,

rivendicando le ragioni “assolute” della musica-cassa di risonanza del cuore – sul frontespizio della

partitura si legge non a caso: “Sinfonia Pastorale, più espressione di sentimenti che pittura”. La sinfonia

occupa un posto speciale nell’ambito del sinfonismo del Maestro di Bonn: è l’unica ad avere delle

indicazioni programmatiche per ogni sua parte; si articola in cinque movimenti – per la presenza di un

Temporale –; rivela prevalentemente un carattere contemplativo, ben diverso dallo stile prevalente nelle

altre sinfonie.


Grande equilibrio e fascino sonoro hanno caratterizzato la lettura di Trevino, che ha guidato l’orchestra

con sicuro gesto direttoriale lungo la straordinaria partitura beethoveniana (dirigendo a memoria come ha

fatto, peraltro, anche affrontando il poema sinfonico straussiano). Perfettamente assecondato da una

compagine “di solisti”, ha saputo sedurre il pubblico mettendo in valore aspetti innovativi di questa sinfonia

– come il trattamento quasi privo di sviluppo dei materiali musicali, nonché l’ ampio uso dei pedali e

dell’iterazione – ad esprimere la pura contemplazione della Natura nella sua apollinea imperturbabilità o

nel suo riposto animarsi (si pensi allo scorrere del ruscello) o nello sconvolgimento causato –

fugacemente – dal temporale. Notevole il risultato ottenuto dell’orchestra negli interventi solistici come nel

tessere le fasce sonore su cui si fonda la voluta, diffusa staticità di questa partitura (analogia dell’idillio

campestre), cui guarderanno i compositori del Novecento.
Quanto a Strauss, Cosi parlò Zarathustracomposto tra il 4 febbraio e il 24 agosto 1896 – in un certo

senso, riassume in sé le esperienze dei maggiori poemi sinfonici precedenti, segnalandosi nel contempo

per la lunga durata e le forti implicazioni ideologiche. Esso rispecchia musicalmente un’opera filosofico-

letteraria particolarmente impegnativa come l’omonimo saggio di Nietzsche, che rievoca le principali tappe

della civiltà umana fino all’affermazione del Superuomo. Il sottotitolo – Liberamente da Friedrich Nietzsche

– per grande orchestra – si riferisce alle cospicue dimensioni dell’organico (comprendente la novità assoluta dell’organo) e al fatto che non si tratta dell’illustrazione di un’opera letteraria, bensì di una libera trasposizione musicale ad essa ispirata. In altre parole il poema sinfonico non denota alcuna volontà di emulazione, né di divulgazione del pensiero del profeta, essendo la libera traduzione in musica di una serie di assonanze poetiche e spirituali colte nel saggio nietzschiano, che Strauss rivisita con una partecipazione forse talora venata di scetticismo, ad evocare i miti della società borghese di fine Ottocento con il suo ambizioso sogno di potenza.
Analogamente a quanto precedentemente affermato, il maestro texano ha dimostrato di saper dominare in ogni suo aspetto anche questa pur monumentale costruzione sonora, articolata in vari episodi, che si susseguono senza interruzione e di cui ognuno corrisponde – come indica la relativa didascalia – a un determinato paragrafo o capitolo del saggio nietzschiano. Nel saluto aurorale di Zarathustra al sole nascente – il maestoso incipit – sul tremolo dei contrabbassi, il rullare della grancassa e il pedale del controfagotto e dell’organo, le trombe hanno intonato, quasi con primordiale stupore, il plastico motivo della Natura, per prodursi poi trionfalmente – dopo qualche incertezza tra modo maggiore e minore – nell’accordo maggiore, alla fine di una sequenza – che termina forse con l’evocazione del Superuomo – costellata da una serie di riferimenti: dalla Creazione di Haydn all’Oro del Reno wagneriano, al Mahler della Terza Sinfonia. Il successivo episodio, Degli abitanti del mondo che sta dietro (coloro che vedono nel mondo l’immagine della divinità), è stato introdotto dal tremolo angoscioso di contrabbassi e violoncelli: una pagina, in cui le sonorità dell’organo potrebbero alludere all’inconsapevolezza dell’uomo primitivo ancora legato alla religione, come conferma la citazione del Credo gregoriano da parte dei corni, qui come altrove ineccepibili. Dopo un episodio di transizione (Del grande anelito), gli archi hanno brillato, al massimo della tensione, nell’animato Delle gioie e delle passioni – dove i tromboni hanno esposto con autorevolezza il tema del Taedium Vitae – e nel Canto dei sepolcri, che elabora lo stesso materiale musicale in una prospettiva lirica, ma dolorosamente dissonante. In Della scienza l’orchestra si è segnalata nella fuga originata dal tema del Superuomo, metafora del raziocinio, intonata con grande lentezza nelle regioni gravi; una fuga ripresa dal successivo Il convalescente, dove si sono imposti di nuovo gli ottoni.
Il primo violino ha sfoggiato tutta la sua maestria nel Canto di danza, che consiste essenzialmente in un valzer viennese, presago di quelli del Rosenkavalier, all’interno di una pagina definita con perfetta eleganza e grande sapienza costruttiva.Nel conclusivo Canto del viandante notturno i clangori in cui era sfociata la sezione precedente si sono smorzati, traducendosi in una timbrica rarefatta e sublimata, dove si sono stemperate tutte le tensioni della partitura che, peraltro, si chiude con una soluzione politonale ardita, a simboleggiare il contrasto fra l’Uomo e la Natura. Tematica, a dir poco, tragicamente attuale! Successo travolgente con numerose chiamate.