” Non siamo più vivi “: recensione della serie horror Netflix

Quando pensi che in un dato filone sia stato detto e mostrato praticamente tutto e il contrario di tutto,

come ad esempio nel caso dei prodotti audiovisivi incentrati sulle apocalissi zombi, arriva sempre quel

qualcosa capace di rilanciarlo, reinventarlo, rigenerarlo o quantomeno in grado di tracciare nuove strade da

percorrere. Chi pensava che il sottogenere in questione avesse esaurito le scorte creative e le varianti a

sua disposizione dovrà ricredersi dopo la visione della serie Non siamo più vivi, rilasciata da Netflix il 28

gennaio 2022. La piattaforma a stelle e strisce continua ad attingere a piene mani dalla prolifica

produzione di genere sudcoreana, della quale sembra davvero non riuscire più a fare a meno per garantire

mensilmente ai suoi abbonati show di qualità e sostanza. Così dopo l’acclamato zombie movie Train to

Busan

 e relativo sequel (Penisula), l’home invasion Alive , il cruento period Kingdom e altre riuscite serie

dell’orrore provenienti da Oriente (Sweet Home,  Hellbound o Alice in Borderland ), è la volta di Non siamo più

vivi approdare sugli schermi e lasciare il segno.   

Non siamo più vivi è una serie tratta dai 130 capitoli del leggendario webtoon di Joo Dong-geun

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Tratta da un leggendario webtoon di Joo Dong-geun dal titolo Now at Our School, pubblicato tra il 2009 e il

2011 in 130 capitoli, la serie sceneggiata da Chun Sung-il e diretta da Lee Jae-Kyu e Kim Nam-soo si

compone di dodici episodi della durata variabile (tra i 53 ai 70 minuti), da gustare tutta d’un fiato in

streaming in modalità binge-watching. Gustare si fa per dire, perché per digerire la macelleria splatter a

base di arti mozzati, interiora disseminate ovunque e litri di sangue, ci vuole uno stomaco very strong.

Insomma, quello offerto dagli autori di Non siamo più vivi è uno di quegli spettacoli gore che gli amanti del

genere e dei sapori forti non dovrebbero lasciarsi sfuggire.     

Non siamo più vivi si cala nel presente per affrontare argomenti di stretta attualità come l’epidemia, il bullismo e il classismo dominante nella Società coreana

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Visto in tutte le salsa possibili e immaginabili, prodotto alle diverse latitudini e soggetto a continue

mutazioni genetiche e ibridazioni, qui lo zombie movie si cala nel presente e affronta argomenti di stretta

attualità che lo rendono, a suo modo e con l’aiuto degli stilemi del filone di riferimento, una sorta di instant-

movie. La serie infatti nasce con fini nobili che la portano a puntare con decisione il dito contro il bullismo,

partendo come un dramma scolastico votato alla denuncia e alla critica della società coreana dominata dal

classismo, per poi cambiare pelle strada facendo sino a diventare un cruento monster movie in epoca

pandemica. Nel corso dei dodici episodi non mancheranno riferimenti più o meno espliciti al Covid-19, ai

suoi effetti devastanti qui portati agli estremi e al  vocabolario che in questi due anni siamo stati costretti

ad approfondire.

In Non siamo più vivi un liceo diventa il Ground Zero di un’epidemia letale che trasforma i contagiati in orde di famelici zombi

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Siamo nel liceo di Hyosan, lo stesso che per gran parte dei capitoli farà da cornice a una vera e propria

mattanza, in quello che diventerà a tutti gli effetti il Ground Zero di un’epidemia letale. Il paziente 0 è proprio

un ragazzo vittima di spietati coetanei aguzzini che viene trattato dal padre con un virus sintetizzato dai

topi che converte la paura in furia omicida, trasformando la naturale istanza di sopravvivenza in qualsiasi

essere vivente in incontrollabile aggressività alimentata della collera repressa. Mentre il contagio si

diffonde rapidamente a macchia d’olio in tutta la città, diventata zona rossa soggetta a quarantena e

controllo militare, un gruppo di liceali rimasti senza telefoni, senza cibo e senza adulti che li proteggono,

dovrà sventare ogni genere di attacco da parte di un’orda famelica di zombi. E per farlo potranno contare

solo su se stessi, su ingegnosi escamotage e  sul sacrificio di gran parte di loro.

Alla base di Non siamo più vivi un mash-up ben orchestrato di splatter, azione, dramma familiare, romance, tragedia e umorismo       

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Nel suo tentativo di trattare la materia passando attraverso il filone dei morti viventi, Non siamo più vivi non

presenta nulla che non si sia già visto in decenni di zombie movie post romeroniani. Motivo per cui non è

l’originalità l’aspetto che va ricercato in uno show come questo, bensì la capacità degli autori di partire da

una matrice pre-esistente, il già citato webtoon, plasmandola e mescolandola con elementi caratteristici del

survival psicologico e dell’horror scolastico con i zombi, sino ad ottenere un mash-up ben orchestrato di

splatter, azione, dramma familiare, romance, tragedia e umorismo. Ingredienti, questi, che si alternano nel

corso dei dodici capitoli e che consentono alla storia di cambiare registro al fine di stemperare il dramma e

l’orrore con quel pizzico di ironia che non guasta mai (l’uccisione dello zombi a colpi di Bibbia oppure la

costruzione del bagno d’emergenza), ma anche di salire e scendere di tensione, ritmo, adrenalina (vedi gli

attacchi nella mensa o nella biblioteca e la fuga dalla palestra) e intensità.

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In questo modo il coinvolgimento resta sempre alto e costante, potendo contare su una varietà di elementi,

su una galleria di personaggi piuttosto variegata, su una dose massiccia di inventiva, su degli efficaci

cliffhanger a chiusura episodi e su una formidabile accelerazione che dal nono atto conduce diritti a un

epilogo che lascia intuire futuri sviluppi. Sviluppi ai quali non vediamo l’ora di assistere.