MERIAM JANE GIURATA DI THE COACH

A tu per tu con Meriam Jane, cantante e giurata della terza edizione di The Coach, in onda dal lunedì al venerdì alle 19.00. Una chiacchierata con l’artista, che ha spiegato il suo amore per il talent show e come è nata la sua passione per la musica.

Ciao Meriam, partiamo dalla tua esperienza a The Coach, il talent show in onda su 7Gold. Come l’hai scoperto?

“Prima di scoprire The Coach, ho conosciuto il produttore Luca Garavelli. Il nostro primo incontro risale a cinque anni fa, sempre per ciò che concerneva l’ambito musicale. L’occasione ci è stata data da un concorso canoro. Da lì è nata l’amicizia e la collaborazione a livello lavorativo. Di conseguenza, nel momento in cui è nato The Coach, ho deciso di tuffarmi in questa avventura insieme a lui”.

Cos’è, secondo te, il bello di The Coach? E’ sicuramente un talent innovativo che mette al centro anche i maestri, non soltanto i concorrenti.

“Sì, la novità consiste proprio in questo. Insieme ai giovani artisti, vengono raccontati anche i coach. Figure che di solito vengono messe in sordina rispetto agli artisti che si presentano sul palco. The Coach invece dà voce a loro, che accompagnano i concorrenti nel loro percorso musicale, nella crescita artistica. Perché il talent, come saprà, non si occupa soltanto di cantanti, ma anche di ballerini e di arti varie. E’ un programma, dunque, che mette l’accento anche sulle capacità lavorative e di insegnamento dei coach”.

Seguendo le puntate, è impossibile non notare che avete una particolare attenzione nel raccontare le storie di ciascun partecipante.

“A The Coach c’è molto materiale umano. Storie che interessano e che ti avvicinano al mondo dell’arte in generale. La forza del programma è proprio questa. Non è fine a se stesso, ma diventa qualcosa che ti accompagnerà per tutta la vita. Spesso e volentieri è capitato che gli artisti che non riescono ad arrivare fino alla fine, o i coach che vengono eliminati, sentano di avere vissuto comunque una bella esperienza. Per questo, continuano a sentirsi con tutta la produzione. Si creano dei rapporti interpersonali umani, nascono delle amicizie. E’ qualcosa che va al di là della trasmissione televisiva”.

Nell’edizione in onda ti vedremo nei panni di giurata, prima sei stata un’opinionista. Hai notato delle differenze tra questi due ruoli? Immagino di sì…

“Nel programma, come hai già detto, ci sono varie figure: i giurati, i coach, i concorrenti e, appunto, gli opinionisti. Personalmente, ho trovato dei vantaggi e degli svantaggi ad essere giurato. Dei vantaggi perché, non conoscendo prima i concorrenti, ho potuto essere obiettiva nei giudizi alle loro performance. Da opinionista, invece, potevo conoscere meglio i ragazzi, instaurare dei rapporti con loro, cosa che mi arricchiva di più dal punto di vista umano”.

E con i colleghi in giuria come ti sei trovata?

“Benissimo, guarda. Ho trovato dei colleghi fantastici: da Massimiliano Varrese a Maura Paparo, passando per Davide Franconeri, che ha vinto l’edizione precedente e con cui avevo già buoni rapporti. Quando subentrano i giudici, gli opinionisti vengono messi in secondo piano e, quindi, non avevo avuto la possibilità di interagire con loro. Ci sono stati dei momenti in cui ho pensato che sarei stata in disaccordo con loro, ma invece eravamo sulla stessa lunghezza d’onda. Abbiamo dato dei pensieri uniformi in maniera decisamente tranquilla. Passando più tempo con loro, li ho conosciuti dal punto di vista umano e posso affermare che sono tutte persone strepitose. Quella che è conosciuto meno è stata Bianca Atzei, perché è arrivata solo per le puntate finali, ma con Massimiliano e Maura è andato tutto bene. Sono stati tutti semplici, a modo, gentili. Prima di essere artisti, hanno dimostrato di essere delle persone”.

E di Agata Reale, la conduttrice, cosa pensi?

“E’ veramente una macchina da guerra. E’ super professionale, ha sempre una parola carina nei confronti di tutti ed è davvero instancabile. I ritmi di The Coach sono molto serrati, abbiamo registrato tantissime puntate in due mesi”. 

Arriviamo a te, al tuo percorso da cantante. Quando hai capito che volevi intraprendere questa strada?

“E’ una domanda a cui faccio sempre fatica a rispondere. Non c’è un momento dove ho capito che il canto poteva essere la mia strada. Sono cresciuta sognando di fare sempre della mia passione il mio lavoro. Fin da piccola ho vissuto di e con la musica. La mattina mi svegliavo con Michael Jackson, Dionne Warwick, Diana Ross. All’età di 14 mi sono così iscritta in una scuola di canto, ma ho sempre avuto questo desiderio. Da bambina salivo sul tavolo, cantavo col telecomando che usavo come microfono, e mi sentivo sul Forum d’Assago. Sembra banale e scontato, ma la mia è stata una passione innata”.

Immagino però che tu abbia fatto anche degli altri tipi di studio?

“Certo. Mi sono laureata in mediazione linguistica inglese e araba. Una cosa completamente diversa dal canto. Credo di averlo fatto perché mi piacciono le lingue, ma anche per garantirmi, spronata dalla mia famiglia, un futuro lavorativo concreto. Ovviamente, ho studiato qualcosa che mi piaceva ma, gira che ti rigira, sono sempre ritornata alla musica. La laurea è comunque un arricchimento che mi servirà sempre”.

E’ difficile, in questo periodo segnato dall’emergenza Covid, vivere di musica?

“In questo periodo non è difficile, ma impossibile vivere di musica. E’ una situazione complessa per tutti, ma ci sono delle categorie che possono trovare delle soluzioni, come gli impiegati statali o chi può organizzarsi con lo smart working. Nel mio caso è davvero complesso, perché se devo esibirmi ad un concerto o andare a cantare in una festa privata, tutto ciò non è più possibile. Posso cantare solo nella mia stanzetta, insomma. Attualmente sono ferma, ma il piano b mi sta aiutando: sto lavorando nell’ambito delle lingue, attraverso traduzioni. Dal punto di vista artistico e musicale, spero quindi che il periodo passi il prima possibile. E non parlo solo per noi artisti, che saliamo sul palco, ma anche a nome di quelli che stanno dietro le quinte: dai macchinisti ai reparti luci e così via. Elementi essenziali per la buona riuscita di un concerto, di uno spettacolo. Se non ci fossero loro, gli artisti starebbero a casa. Anche The Coach ha una macchina lavorativa perfetta, guidata dal regista Marco Zarotti fino ad arrivare a Gabriella, la direttrice di palco che sta dietro i ragazzi”.

Intervista a cura di Roberto Mallò per www.elasticmedianews.it editorial director Nunzio Bellino