Una bella chiacchierata con il cantautore siciliano Giuseppe Longo, pronto a tuffarsi in nuovi progetti per regalare al suo pubblico altre canzoni capaci di entrare nel cuore e di trasmettere belle sensazioni.
Salve signor Longo, quando è nata la sua passione per la musica?
“E’ un’inclinazione che mi porto dietro fin da quando ero un ragazzo, avevo intorno ai 15/16 anni. Ho sempre avuto la passione per scrivere. Pensi che tutto è iniziato perché scrivevo romanzi. In seguito, mi sono innamorato della musica e sono arrivate anche le canzoni, le prime composizioni. Mio padre, appena si è accorto di questo mio amore, mi ha così regalato una chitarra. E così ho imparato i primi accordi. Da lì, man mano ho formato i primi gruppi, sono andato nella varie serate tra piazze, locali e sagre e persino in posti dove non ti ascolta nessuno. La gavetta, insomma, che fanno tutti gli artisti emergenti. Questo studio della musica è diventato sempre più importante, mi sono iscritto alla SIAE e così via”.
Ha fatto degli studi al conservatorio?
“No, principalmente in forma privata. Ma questo non mi ha impedito di fare i concerti in anfiteatri piuttosto importanti. Sono siciliano e ho fatto diversi concerti importanti, di cui ne vado fiero, in posti dove ci sono stati dei personaggi del calibro di Ron, De Gregori. In uno di questi, come direttore artistico, c’era anche Franco Battiato. Da diversi anni, sono approdato a Roma in cerca di fortuna, che è la città che attualmente che mi ospita. Purtroppo, di recente, è arrivata la batosta del Covid e mi sono fermato anche io. Ma continuo a scrivere con forza e passione”.
E’ difficile cercare di vivere soltanto di musica?
“Non è facile, è inutile nascondersi. Probabilmente era più semplice anni addietro, mentre le cose attualmente sono cambiate; questo porta ad avere un approccio diverso nei confronti dell’arte musicale. Ad esempio, internet è stata una bella batosta: dischi se ne vendono meno, si fa più fatica a far conoscere le proprie opere. Però, ciò nonostante si cerca sempre di emergere, di non restare fermi. I supporti musicali sono diversi: ci sono le piattaforme online, ma io mi trovo un po’ a disagio nei confronti di questi supporti on line”.
Come mai?
“A mio avviso non valorizzano al 100% un artista. E’ vero che ormai i giovani sono molto portati a queste cose on line e che lì si può comprare la musica. Però non danno il valore che magari può dare un circuito televisivo, dove io ho avuto la fortuna di esserci, o radiofonico. Credo siano i supporti più efficaci: la tv ti dà una visibilità importante, le piattaforme non le disegno ma preferisco altri mezzi. Questo è il mio umile punto di vista. L’ideale sarebbe, magari, avere il giusto spazio in tutti e tre. Soltanto il web, che non ti aiuta a farti conoscere a 360°, non mi mette del tutto a mio agio”.
Addentriamoci nella sua musica. Che genere di musica cerca di portare ai suoi ascoltatori?
“Sono un cantautore, mi ispiro molto a cantautori – anche se col tempo ovviamente ho creato uno stile mio – come Paolo Conte, Ivano Fossati, Francesco De Gregori. L’artista che mi ha più segnato è Lucio Battisti, che considero il padre dei cantautori. Mi ritengo tra quei cantautori impegnati dal punto di vista dei testi, che non sono subito alla portata di tutti perché, il più delle volte, sono ricercati, con dei significati da trovare. Do molto importanza all’alchimia di musica e parole, che cerco di creare. Valorizzo le parole, senza ricadere nei cliché. Tento sempre di creare cose diverse, sia negli argomenti, sia nei concetti. I miei testi, insomma, non sono comprensibili al primo approccio. Sono così perché mi viene naturale, fa parte del mio modo di comunicare. Anche se, ovviamente, ci sono anche le mie canzoni un po’ più leggere, tranquille, delle quali, da un paio di anni a questa parte, mi rendo conto che la gente ha bisogno. Ma io sono anche il cantautore impegnato, è nel mio modo di essere. Per fortuna, però devo dire che esiste la gente che ascolta anche questa musica qui, dove io metto delle sfumature di jazz, di blues per dare la ciliegina sulla torta a certe canzoni”.
Quali sono le sue canzoni alle quali si sente più legato?
“Sono un po’ tutte come figli, ma ammetto che ce ne sono alcune a cui sono più legato. La prima, che mi rappresenta molto, si intitola Il Volo di Icaro. Con mia grande sorpresa, è una canzone che piace a chiunque la ascolta. Una cosa che mi ha stupito. Per farla breve, parla della vita dell’artista che va in giro per il mondo e, per questo, vorrebbe che tutti gli affetti fossero sempre con lui. Un aspetto impossibile per chi fa arte. Ho dunque rappresentato questa immagine con Icaro che non riesce a raggiungere il sole che scioglie le sue ali. E’ una metafora che riguarda ogni artista, che a casa sta molto poco e deve trascurare i suoi affetti. Le cito poi la canzone L’angelo, con sfumature ispaniche di una cultura che mi piace molto. L’angelo non è altro che la parte buona nostra, che a volte non ascoltiamo o facciamo finta che non esista perché siamo portati ad avere sempre il nostro carattere, impeto e modo di essere. Non ascoltando l’angelo, facciamo quindi degli errori trascurando le persone più vicine. Nel brano parlo di una coppia che si lascia perché l’uomo non ha capito l’esigenza della donna, non ha colto i suoi messaggi per salvare il rapporto. Lei quindi decide di andarsene e lui inizia a svegliarsi. Chissà, magari la donna l’ha messo alla prova, facendo fuoriuscire la parte buona di lui per riprendersi l’amore che sta per finire. E’ un discorso universale che riguarda un po’ tutti. Infine, c’è La notte fonda, ovvero quella che alberga dentro di noi quando non sappiamo che strada prendere e siamo di fronte ad un bivio che ci cambierà la vita”.
Per quanto riguarda i significati, penso che il bello della musica consista nel fatto che ogni ascoltatore può cogliere diverse sfumature.
“Esatto. La canzone, un po’ come tutta l’arte in generale, è di chi l’ha scritta, perché sa che cosa vuol dire, ma alla fine si lascia andare al vissuto di chi ascolta e quindi ognuno di noi la interpreta come vuole. E’ questa la magia della poesia, della musica. L’artista scrive le sue canzoni ma le lascia libere in base all’interpretazione di chi le ascolta. E’ un bene. E’ questo il compito degli artisti. Tra l’altro, spiegare una canzone non è facile e, secondo me, non va neanche bene snocciolarla fino in fondo. L’artista regala il suo brano al pubblico, che sceglie come utilizzarlo. E’ quello che succede a me con pezzi di altri artisti affermati. E’ un po’ quello che accade nel surrealismo, che è onirico ed apre ad ogni tipo di interpretazione”.
E per quanto riguarda eventuali brani di altri artisti, ce n’è qualcuno che l’ha segnata?
“Come le ho detto prima, l’artista che più mi ha segnato è Battisti, anche se col tempo mi sono identificato con Conte, Battiato. Ad ogni modo, ritengo che Battisti sia quello che mi abbia segnato di più perché sono tante le sue canzoni che mi hanno colpito molto e che me le porterò per sempre. E’ difficile sceglierne qualcuna. La prima che ho ascoltato, quando ancora non lo conoscevo, era Perché no. Da lì mi sono appassionato a questo mostro di bravura. Mi ritorni in mente, Il tempo di morire, Il Mio canto libero mi hanno insegnato molto e, per certi versi, anche a vivere. Battisti per me, quindi, è stato il più grande in assoluto. Mi ha segnato per l’originalità, per il modo diverso di scrivere. Si rifà al cubismo, all’avanguardia del 900. Ha inserito tutto nelle sue canzoni. Nei testi, ci sono delle citazioni dei poeti francesi. Un aspetto che forse non tutti hanno colto. Anche se può sembrare un paradosso, col tempo mi sono però ispirato maggiormente a Fossati, Battiato, De Gregori”.
In questo momento, il mondo dell’arte si è dovuto fermare a causa del Coronavirus. Aveva qualche progetto in ballo? Magari un nuovo disco?
“Sì, stavo facendo un nuovo disco, arrangiando altre canzoni e c’erano in programma delle serate, dei concerti. Alcuni brani sono pronti, altri meno, ma ci stavo lavorando. Inoltre, era tra i progetti un musical, ma per adesso ci siamo dovuti fermare. Un musical dove cantavo e c’erano delle canzoni mie che cantavano altri. Una bella cosa. Ero molto entusiasta e preso per questi progetti, ma purtroppo tutto si è bloccato. L’ultima serata l’ho fatta poco prima che venisse annunciato il lock down. Sono stato ospite di un teatro, dove ho presentato alcune mie canzoni. La speranza è che tutto riprenda al più presto. E’ ancora azzardato dare una data, ma non dobbiamo demordere, demoralizzarci. Soprattutto a livello psicologico. Se ci fermiamo lì, possiamo davvero considerarci cadaveri. Dobbiamo cercare di essere comunque positivi, nella vita. Non farci abbattere solo ed esclusivamente dal terrorismo psicologico”.
Che feedback riceve dai fan che ascoltano la sua musica? Che rapporto ha con loro?
“Per me è una grande gioia, una rassicurazione, quando mi riconoscono per strada. Mi è capitato anche mi fermassero alla fine di uno spettacolo, così come girando di città in città. Trovo rassicurante ricevere dei complimenti, perché mi danno la benzina per andare avanti. Il pubblico è tutto, è la garanzia che tutto sta andando bene. Se il pubblico ti abbandona, purtroppo è finita. E’ lui il vero stimolo. Ho un buon rapporto con i miei fan, che mi fanno sentire meno solo. Mi danno lo stimolo per andare avanti. Questo è molto importante per un artista”.
E’ siciliano, ma da tempo risiede a Roma. Come mai?
“Roma è una città che mi apre tante porte, anche se in Sicilia sono abbastanza conosciuto. Nella capitale stavo cercando di farmi conoscere a livello nazionale. Non ho rinnegato, ovviamente, le mie origine siciliane, che non voglio che nessuno mi tocchi. Il richiamo della terra d’origine c’è sempre. Tutto però si ferma in quell’isola e, se vuoi amplificare la tua cassa di risonanza, Roma è davvero utile per darti una mano”.
Ha mai sognato il Festival di Sanremo?
“Sì, e tutt’ora lo sogno. Per usare una metafora, Sanremo è pieno di corrodi, di porte chiuse e aperte; è una giungla intricata. E’ una meta che sogno perché ti dà una grandissima visibilità. Anche se non vuol dire nulla perché alcuni artisti sono andati a Sanremo e non se li ricorda nessuno. Però il Festival rimane la manifestazione più importante per confermarti e consacrarti come artista. Bisogna sapersela giocare. Su questo non c’è dubbio”.
A cura di Roberto Mallò per MassMedia Comunicazione
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