Giovanna sopravvissuta a violenza domestica: “Mi picchiava e mi tagliava i capelli, viva per miracolo”

Giovanna sopravvissuta a violenza domestica: “Mi picchiava e mi tagliava i capelli, viva per miracolo”


Una relazione di due anni, poi la scoperta del tradimento: da allora la vita di Giovanna si è trasformata in un

. “Era ossessionato, aveva paura che raccontassi le violenze alla mia famiglia. Sono viva per miracolo”. In

occasione della giornata contro la violenza sulle donne, ci racconta la sua storia.

Una relazione di due anni che presto sarebbe sfociata in una convivenza. Giovanna era pronta a condividere

anche la quotidianità con l’ex compagno 27enne fino a quando però la sua realtà non si è frantumata in

mille pezzi. “Ho scoperto che mi tradiva – ci ha raccontato in occasione della Giornata Internazionale

contro la violenza sulle donne -. Una cosa dolorosa che qualunque altra coppia avrebbe gestito con una

. Non è stato il nostro caso perché da allora sono iniziate le violenze”. Giovanna è una delle tante

sopravvissute alla violenza domestica. Alle spalle una famiglia come tante residente nelle Marche che per

tutto il tempo è rimasta all’oscuro di quanto stava accadendo. “Mi sentivo completamente sola e non

che i miei genitori si preoccupassero. Il mio compagno ha fatto in modo di convincermi a non lasciarlo,

dicendomi di voler cambiare e recuperare il rapporto. Quando si è accorto che non mi fidavo più di lui ha

iniziato ad esercitare violenza psicologica facendomi credere che fossi io a non aver meritato il suo

amore”.

“Tu non sei degna di uno come me”, questo le diceva tutte le volte che litigavano. Le parole sono poi

diventate azioni violente. “Il primo schiaffo è arrivato quando ha scoperto che avevo raccontato quanto

successo alla mia migliore amica – racconta -. Diceva che non avrei dovuto raccontare le nostre cose a

terzi e che con il mio modo di fare avevo quasi cercato quei tradimenti. Quella volta la nostra litigata è

diventata uno scontro fisico: io cercavo di difendermi e di respingerlo, lui di colpire dove poteva”. Quella

sera di un anno fa, Giovanna decide di non recarsi in pronto soccorso. “Sapevo di essere finita in un

rapporto malato, ma non era mai successa prima una cosa del genere. Mi ha convinto che potevamo

migliorare ma si è rifiutato di incontrare un terapista. Ha detto che potevamo farcela da soli e io, più per

timore che per effettiva convinzione, gli ho creduto”.

Da allora le aggressioni sono diventate quasi quotidiane. “Bastava poco: a volte il motivo era un vestito,

altre volte una frase che non gli piaceva. Altre volte ancora una telefonata: era ossessionato dall’idea che

potessi confidarmi con qualcuno della mia famiglia o con un’amica. Prigioniera della paura e della mia

solitudine mi sono chiusa sempre di più. Sono arrivata a lasciare il mio lavoro di estetista perché non

volevo spiegare alle colleghe i segni che spesso avevo sulle mani e sulle braccia. Avevo iniziato a

frequentare soltanto la famiglia di lui perché nessuno faceva domande sulle ferite che avevo addosso. Non

abbiamo mai preso casa insieme, eppure lui passava la maggior parte del tempo nel mio appartamento per

controllarmi”.



Il 27enne aveva iniziato a controllare il contenuto delle sue conversazioni Whatsapp e delle chat dei social

network nella convinzione che Giovanna provasse a nascondergli qualcosa. “Ero paralizzata, sola e senza

amici. Non avrei potuto difendermi in nessun modo e lui lo sapeva. Credo che gli facesse anche paura

quello che mi stava facendo. Più aveva paura di se stesso, più cercava di evitare che raccontassi tutto. Una

situazione surreale che non ho mai sentito raccontare a qualcun altro anche quando sono riuscita a

liberarmi dal suo controllo. Questo mi ha fatto sentire ancora più sola per tanto tempo dopo la fine di

questa relazione. Adesso so che ogni storia di violenza ha una sua genesi e un suo sviluppo. Mi arrabbio

quando sento dire che tutti i casi si somigliano perché non è vero: in gioco ci sono tanti meccanismi

psicologici francamente inspiegabili per le vittime. Sono esperienze le cui cicatrici hanno bordi

all’apparenza gemelli ma tutti diversissimi tra loro.

Il punto di rottura definitivo è arrivato per Giovanna una sera del novembre scorso. “Sono andata a buttare

la spazzatura e poi sono rimasta fuori per fumare una sigaretta in pace. Avevo litigato con mia madre che

si domandava per quale motivo non la chiamassi mai. Vivevamo a un’ora di distanza l’una dall’altra allora

eppure non passavamo più tempo insieme. Sono sicura che lei sospettasse qualcosa. Il mio ex fidanzato

era a casa mia ma credevo non si fosse accorto di niente. Quando sono rientrata mi ha lanciato contro il

cellulare”. Il 27enne la accusa di aver raccontato le dinamiche di quella relazione malata ai genitori, poi si

avventa su di lei. “Prima mi ha buttata a terra a suon di calci, poi mi ha afferrata per i capelli e ha iniziato a

prendermi a pugni in pieno volto. Credo di aver perso la cognizione di quanto stava accadendo dopo

qualche minuto di botte. Ricordo solo che urlava e che a un certo punto ho provato a strisciare verso la

porta. Sapevo che quella sera sarei morta ma non stavo neppure provando a resistere. Lui mi ha presa di

nuovo per le braccia e mi ha buttata su una sedia. A quel punto ho iniziato di nuovo a lottare e lui ha preso

le forbici da cucina”.

In quel momento, racconta, ha creduto che lui volesse sfregiarla. “Credo di aver urlato soltanto in quel

momento, ma presto ho capito cosa stava per fare. Mi ha afferrato per i capelli e ha iniziato a tagliarli. Mi

picchiava e nel frattempo mi tagliava i capelli a ciocche”. A salvare Giovanna da morte certa, l’intervento dei

vicini di casa. Dopo aver sentito le urla del 27enne, hanno bussato alla porta minacciando di allertare le

forze dell’ordine. “A quel punto il mio ex fidanzato ha capito. Mi ha lasciata andare ed è corso in bagno. Io

mi sono lanciata fuori dall’appartamento con le ultime forze che mi erano rimaste. Sono finita nelle braccia

della donna che viveva accanto a me”. Proprio lei ha trascinato la ragazza all’interno dell’abitazione per

nasconderla agli occhi dell’ex compagno. “Lui a quel punto è scappato, è andato a casa sua – spiega

ancora Giovanna -. Quando le forze dell’ordine lo hanno raggiunto, stava preparando le valigie per

scappare”.

La storia sfocia in una denuncia. “A quel punto cosa stava accadendo è apparso chiaro a tutti. Per via del

Covid non ho voluto che mia madre mi raggiungesse in ospedale. Ci siamo riabbracciate soltanto qualche

giorno dopo l’accaduto: ci siamo strette forte e abbiamo pianto tanto. Poi sono tornata a casa con lei e

lentamente sto cercando di ricostruire la mia vita”. Per tanto tempo, racconta, ha continuato a portare i

capelli corti. “Era forse il mio modo di ricordare cosa mi era successo e a cosa sono sopravvissuta. Ho

sempre portato i capelli lunghi nella mia vita, questo non è mai cambiato. Mi ci sono voluti diversi mesi

prima di iniziare di nuovo a farli crescere”.

Adesso Giovanna ha capelli lunghi fino alle spalle e una nuova consapevolezza. “Non sarò mai più la donna

di prima – spiega -. Bisogna fare i conti co questo dato di fatto. Non si può tornare alla normalità, ma

possiamo costruircene una nuova. Io ci sto provando. Alle ragazze più giovani di me cerco di trasmettere la

consapevolezza: parlare è importantissimo. Non spetta a noi ragazze evitare queste situazioni, perché non

è mai colpa della vittima. Gli uomini devono essere educati al rispetto e all’affettività. Sono pochissimi i

compagni maltrattanti che accettano di seguire un percorso psicologico con uno specialista mentre noi per

riprenderci dobbiamo attraversare anni di sedute, a volte non basta una vita intera. Il problema alla base di

queste tragedie è di tipo culturale, ne sono profondamente convinta. Quello che noi vittime possiamo e

dobbiamo fare è raccontare le nostre esperienze ai parenti, agli amici e persino e soprattutto agli

sconosciuti perché una nostra testimonianza può fare la differenza”.