Enzo Brogi, presidente del Corecom e amico di Nuti, racconta come nacque ’Madonna che silenzio… ’
“Domani è il compleanno di un amico, Francesco Nuti. Compie 66 anni. Crudele per lui, tenero per me”. Enzo Brogi, giornalista e presidente del Comitato Regionale per le Comunicazioni della Toscana (Corecom), conosce il mondo della cultura fin da quando era un ragazzo. E nel suo spaziare tra produzioni discografiche, radio, tv e giornali,, non poteva non imbattersi in quel genio pratese che negli anni Ottanta sbancava i botteghini ad ogni film.
Presidente Brogi, come ha conosciuto Francesco Nuti?
“Ci siamo conosciuti da giovani, e frequentati parecchio. Quasi 50 anni fa, una vita. Francesco era un grande attore, una mente creativa, ironica e fertile. Le sue prime sceneggiature, le canzoni caustiche e intelligenti, impareggiabili. Indimenticabili le ore passate con lui durante i primi abbozzi e melodie di Primo Ottobre o Puppe a pera. Ma anche e soprattutto di Madonna che silenzio c’è a Cavriglia. Si, so bene che il titolo è un altro, ma nacque veramente così”.
Già, lei è di Cavriglia, dove è stato anche sindaco. Come nacque ‘Madonna che silenzio…‘?
“Era una notte di luna piena e non faceva freddo. Fumavamo su una panchina solitaria nel comune dove allora, appunto, risiedevo. Intorno un silenzio profondo, assoluto, perfetto. Madonna che silenzio, Madonna che silenzio… Madonna che silenzio c’è a Cavriglia! E dopo averci riso su, lui, quel silenzio, lo portò sul set”.
Poi alti e bassi, proprio come la vita talvolta sa fare.
“Già, i grandi successi che ti fanno crescere in fama e fortune, ma anche allontanare dalle cose più semplici, da chi ti vuole bene per quello che sei. E intanto l’emergere del vuoto e della cupezza, che lo facevano rinchiudere in casa in compagnia solo dell’alcool. Un tunnel complesso difficile, che inevitabilmente ci allontanò”.
E poi, quando vi siete rivisti?
“Dopo molti anni sono andato a trovarlo nella sua casa bellissima ai Parioli, ma era molto cambiato. Mi accolse in accappatoio bianco con degli impenetrabili occhiali da sole. Pranzammo assieme, ma era molto diverso da prima. Poi l’incidente, il trauma cranico ed il vuoto, quasi assoluto. Il ritorno nella città che lo aveva amato e consacrato, Prato. Lì l’ho incontato più volte. Gli raccontavo della panchina che era ancora lì, del biliardo al circolo di Cavriglia, dei nostri amici e delle nostre amiche”.
Poi le sue condizioni sono peggiorate.
“Lo avevo lasciato che rideva ancora. Sembrava felice, sembrava. Una volta volle anche sfidarmi a braccio di ferro e vinse. Poi l’ho trovato immobile. Non parlava e non rispondeva più, ma guardava. Come a dirmi ‘Enzo, siamo sempre amici sai’. Come a volermi rassicurare che sotto quel grugno immobile c’è sempre la sua bella faccia da malandrino di periferia. Auguri, Francesco. Auguri, amico mio”.