FABIO MAZZARI IL RACCONTO DELLE EMOZIONI DI UN ARTISTA

Attore, doppiatore e regista di grande spessore artistico ed umano, ecco Fabio Mazzari

che per tanti anni ha prestato volto, anima e voce all’imprenditore comasco Alfio Gherardi

nella prima soap opera italiana Vivere, diventato tra gli i volti piu’ amati dagli italiani.

Oggi Fabio ha tanti progetti e ci ha concesso questa interessante intervista.

Chi è Fabio Mazzari dentro e fuori dal set?

Oggi Fabio Mazzari è un uomo certamente non più giovane, tutt’altro. E, come tutti quelli della sua età, è portato a fare quasi ogni giorno un bilancio della propria vita. Degli errori fatti, di quelli evitati, di quanto ha imparato e di quanto ha insegnato ( almeno spero ), dei momenti bui e di quelli luminosi, delle tante battaglie affrontate. Alcune vinte, molte perse, ma sempre tutte sostenute fino in fondo. Delle cose belle che la vita gli ha regalato, che si possono riassumere in una parola sola, in un nome : quello di mia moglie Silvia.

Ecco lei, dopo una vita insieme, è mancata da poco, e un vuoto enorme si è aperto davanti a me. E’ come se mi trovassi di colpo a camminare in una grande stanza vuota, dove sento risuonare solo i miei passi. Per cui oggi, amici, io sono un uomo che cerca di trovare una direzione e soprattutto un senso per il suo andare, per il suo camminare. Questo sono io oggi, fuori dal set. Mentre prima conducevo un’esistenza tutta proiettata sulla famiglia, su mia moglie, su mio figlio, sulla casa. A differenza, forse ( forse..) di altri attori.

Per quanto riguarda il set, non potendo e non sapendo giudicarmi, posso però dire una cosa. Sono un attore molto disciplinato, molto rispettoso di quanto mi viene chiesto, anche se non sempre sono d’accordo e lo dico ( come mi successe a VIVERE ), ma poi accetto sempre, magari concordandole insieme, le esigenze del regista.

Poi posso ancora dire che, abituato al teatro, che è un lavoro lungo, duro, paziente, il set mi pare sempre un momento di serena, improvvisata ( anche se non lo è ) creatività. Il che mi consente spesso di alleggerire la tensione e magari far sorridere i miei colleghi.

E infine trovo naturale e assolutamente doveroso essere gentile, cortese con tutti coloro che lavorano sul set ( operatori, tecnici, sarte, costumiste, truccatrici..) senza i quali, nessuno escluso, semplicemente noi attori non potremmo apparire. Infatti credo di essere sempre stato amato dai vari reparti, come io d’altronde ho amato loro.  

Una scena memorabile che hai nel cuore dal set di” Vivere”.

Beh, per la verità ( essendo durata dieci anni..) le scene di VIVERE che ricordo sono parecchie. Ma forse una su tutte.

Quella in cui Alfio Gherardi, il mio personaggio, si trova, assieme a un giovane poliziotto ( Gabriele Greco ) a dover convincere un uomo a rinunciare all’idea del suicidio.

Alfio Gherardi, per ricordarlo, era un ricco industriale tessile, poi caduto in disgrazia per le trame del suo nemico Pier Francesco Moretti, che gli aveva soffiato la fabbrica e tutto il resto. Alla morte di Moretti la fabbrica era poi passata alla moglie Rebecca che, per prima cosa, aveva cominciato a licenziare gli operai in esubero. Uno di questi, appunto, una mattina sale sul tetto della fabbrica e minaccia di buttarsi di sotto.

Viene chiamato d’urgenza l’ex padrone, Alfio Gherardi, a cui gli operai sono ancora molto legati, il quale, assieme al giovane poliziotto, si reca sul tetto e inizia una trattativa per convincere l’uomo a desistere.

Ecco, il ricordo di quella scena è ancora vivo in me. Intanto per la drammaticità della situazione, e poi perché in quell’occasione veniva fuori, per intero, la natura del mio personaggio. Un uomo buono, forte, rassicurante, amato dai suoi operai. Alfio è infatti l’unico a cui si appellano, perché sanno che è l’unico che l’uomo sul tetto potrebbe ascoltare. 

E mi ricordo anche che io pesavo le parole del testo, come se davvero fossero mie, come se mi fossi trovato realmente davanti un aspirante suicida, anzi aggiungendo qualcosa. E mi ricordo anche del freddo terribile che faceva sul tetto, tanto che quasi non riuscivo a parlare.  

Ma c’è un altro elemento che me la fa ricordare. A un certo punto l’operaio sembra convinto dalle mie parole, allora io faccio per dargli la mano, ma lui indietreggia e cade nel vuoto. A questo punto il poliziotto lo afferra al volo e lo trattiene. Ovviamente, sia Gabriele Greco, che interpretava il poliziotto, sia la controfigura dell’operaio, erano saldamente agganciati e protetti. A me però venne un’ispirazione improvvisa.

Mi dissi, possibile che Alfio Gherardi che fino a un attimo fa era sul punto di convincerlo, ora non faccia nulla per il suo operaio, mentre penzola nel vuoto? E così mi avvicinai anch’io al bordo del tetto, per porgere la mano. Un movimento che non era affatto previsto dalla sceneggiatura.

Infatti udii il regista che imprecava sottovoce, e anch’io, guardando in basso, mi sentii tremare le gambe, ma la scena, in quel modo, con l’aggiunta di Alfio che tenta di portare soccorso, ebbe un qualcosa in più. Un qualcosa che piacque al pubblico.

Ti piacerebbe un film tv oppure un ritorno in prime time di Vivere?

  Certamente un film rappresenta un obiettivo primario, affascinante, desiderato e inseguito da tutti gli attori ( soprattutto quelli di soap ). Anche un film tv, certo, che oggi avrebbe certamente una visibilità maggiore che non nelle sale. A me poi consentirebbe di misurarmi con un ruolo diverso da quello storico di Alfio Gherardi, con cui il pubblico continua, ancora oggi, inevitabilmente a identificarmi. E io gliene sono grato.

Però è vero anche che, a mia volta, sono rimasto molto legato a quel personaggio, così amato dal pubblico, e anche da me. Così come sono rimasto legato a VIVERE e al suo lungo, articolato racconto. E sono convinto che se VIVERE trovasse collocazione in una fascia oraria di prime-time, otterrebbe di sicuro ottimi risultati.

L’ideale, può sembrare una battuta ma non lo è, sarebbe una versione cinematografica di VIVERE, che peraltro contiene in sè un grande potenziale espressivo, in termini narrativi, di attualità e anche di analisi della realtà sociale contemporanea del nostro Paese.

Sei doppiatore, attore e regista in quale ruolo ti senti piu’ a tuo agio?

Confesso che il ruolo in cui ho sentito di esprimermi al meglio è quello di regista teatrale. Un po’ perché è quello che avrei voluto fare all’inizio ( ho cominciato come aiuto regista ). Poi perché, affrontando un testo, analizzandolo, commentandolo, interpretandolo, magari un classico come Shakespeare, Molière, o anche Cèchov, mi sembra di portare avanti gli studi che avevo, a suo tempo, interrotto. E poi mi consente di esprimere una comunicazione piena, totale, aperta. Con il testo, con il pubblico, ma soprattutto con i miei colleghi.

Per il fatto di esserlo anch’io, conosco e avverto tutte le tensioni degli attori, di fronte all’idea di andare in scena. Le loro insicurezze, i loro dubbi, ma anche le spinte che trovano, la voglia febbrile di dar vita a un personaggio, il desiderio di ben figurare.

E, per questo, credo di averli sempre aiutati ad esprimere al massimo le loro potenzialità, a mettersi in luce, a servire un progetto e sentirsene partecipi. E infine, perché no, a ottenere anche dei begli applausi.

Mi sarebbe piaciuta l’esperienza della regia cinematografica, ma non ho mai avuta l’occasione di misurarmi con la macchina da presa, e non so se, a questo punto, potrà mai farlo. Ma, a quanto dicono, mai dire mai.

Tre aggettivi per definirti?

Leale, gentile, ansioso.

Come vedi questa profonda crisi di cultura e del mondo teatrale- cinematografico colpiti

Dalla Pandemia che stiamo vivendo? Secondo te ci sarà la possibilità di rinascita del settore, dopo mesi

Di chiusure?

Paradossalmente ho l’impressione, anzi la speranza, che per certi settori la crisi attuale possa addirittura portare qualche giovamento. Ad es. per quanto riguarda i musei, che normalmente non mi pare ricevano masse di visitatori, soprattutto italiani, può darsi che questa ininterrotta serie di divieti sollevi verso di loro una certa curiosità e quindi anche una voglia di reagire e di frequentarli. Ripeto, è un paradosso, ma forse potrebbe funzionare.

Per quanto riguarda invece il cinema, e soprattutto il teatro, temo che la lunga chiusura delle sale abbia inferto a questi settori un colpo mortale.

Il cinema, lo sappiamo, era in parziale crisi già prima della pandemia. Da tempo il cinema deve fare i conti con le più avanzate tecnologie e le nuove piattaforme audiovisive, perdendo così via via la sua funzione di grande evento popolare, quel momento di condivisione collettiva, fatto di sensazioni ed emozioni comuni.

Ma è il teatro che ne soffrirà maggiormente. Il teatro che sempre più in questi anni è stato costretto a ritirarsi in uno spazio di nicchia esclusivo e minoritario. Per varie ragioni.

Quali, ad es. il prevalere di una certa televisione diseducativa, o il fascino della musica rock, nelle sue varie declinazioni, che per i giovani costituisce l’unico momento di spettacolo realmente di massa. O di nuovo il dominio del web, che porta a una fruizione nell’isolamento, o il mancato sostegno della scuola, che continua a ignorare il teatro, o comunque il generale imbarbarimento culturale e civile che stiamo vivendo e che è sotto gli occhi di tutti, cui il teatro è estraneo, anzi nemico, per definizione e per natura. E certamente, dopo il lungo lockdown, questi settori saranno in ginocchio, se non da un punto di vista artistico, certamente da quello imprenditoriale e produttivo.

Però anche qui potrebbe scattare il paradosso di cui ho parlato a proposito dei musei. Cioè che in questi mesi di chiusura, l’astinenza generi un forte desiderio rinnovato nei confronti di questi due generi.

Il cinema potrebbe vedere rinascere nel pubblico il richiamo della sala, come luogo e momento comune di condivisione, e ritrovare così la sua natura originaria di fenomeno sociale. 

Il teatro, a sua volta, dopo i limiti imposti al pubblico nei teatri tradizionali, potrebbe approfondire e amplificare la propria specificità. Che è quella di evento dal vivo, istantaneo, irripetibile, dove risuonano parole vive e presenti, dette da uomini vivi, in carne e ossa, a cui corrispondono emozioni altrettanto vive, degli attori e del pubblico.

Non si può pensare al teatro in streaming, sarebbe una contraddizione, sarebbe un po’ come, uso le parole di Gabriele Lavia, “ fare il sesso al telefono “.

Ecco invece, magari reinventandosi, uscendo dai luoghi canonici, il teatro potrebbe riscoprire sé stesso nelle strade, nelle periferie, nelle scuole, negli ospedali, nella case, in mezzo alla gente, fuori dalle sue cattedrali. E riscoprendo anche la propria intensità quasi misteriosa. Com’era un po’ nelle sue lontane origini tribali magico-religiose.

E come, in parte, sta già avvenendo, con quei teatranti che percorrono le strade con una forma di teatro mobile, itinerante, sui loro nuovi carri di Tespi. Ce la si può fare. Come diceva Brecht “ La notte più lunga, eterna non è “.

Un tuo messaggio e appello per i lavoratori dello spettacolo?

Ai lavoratori dello spettacolo, tutti, vorrei dire una parola, che sia insieme un augurio e un appello.

Questa tormentata, sofferta resilienza, che abbiamo per forza sviluppato durante la lunga pausa ( e che ancora dovremo coltivare..) mi auguro che ci abbia portato, se abbiamo resistito, a una nuova consapevolezza. Quella del legame che nasce fra chi deve lottare disarmato, fra individui umiliati e offesi, fra perseguitati ( è indubbio che il nostro settore lo sia stato più di altri, in questo anno di pandemia..). Ecco, io spero che al di là dell’avversione verso chi ci penalizzava, sia nato in tutti noi, dagli attori ai tecnici, un sentimento di unione. Una fratellanza forte fra chi ha provato la stessa sofferenza e le stesse difficoltà. E che questo sentimento possa prendere il posto ( lo dico soprattutto agli attori..) del nostro classico, tradizionale individualismo . Che possa uscire, da questa crisi, una visione del nostro mondo professionale più aperta e solidale.

Prepariamoci a riprendere i nostri posti, in una nuova precarietà, dolorosa, faticosa certo, ma anche con una nuova consapevolezza. Con orgoglio e magari anche con felicità, dopo aver constatato l’importanza e, direi, la sacralità del nostro lavoro. Da tutti infatti rimpianto, in questi lunghi mesi, come un bene prezioso e perduto.

Un progetto attuale?

  A inizio febbraio inizierò in Liguria le riprese di un film d’autore “ Stilema “, con il ruolo di protagonista. E’ il personaggio di un uomo anziano, uno scrittore prestato alla politica, raffinato, decadente, un po’ morboso, che vive con una donna molto più giovane di lui. Un film difficile, ma affascinante.

Altri progetti?

Non appena sarà possibile, porterò a termine un impegno nel quale ero stato coinvolto, prima del Lockdown. Uno stage su Shakespeare, aperto anche al pubblico, per le scuole superiori di Eboli.

Poi aspetto una risposta dal Teatro Stabile di Palermo riguardo un testo teatrale che ho scritto, su due ladri. Uno più anziano e uno più giovane, rinchiusi nella stessa cella.

Intervista a cura di Nunzio Bellino editor di www.elasticmedianews.it