Il ristoratore afgano Jan Nawazi vive e lavora a Bologna ormai da anni. A noi racconta il dramma dei suoi familiari bloccati in Afghanistan. “Le donne della mia famiglia sono chiuse in una stanza – spiega -. La comunità internazionale non creda ai talebani: spero in un cordone umanitario che permetta a donne e bambini di scappare. L’ Italia le accolga”
Jan Nawazi è arrivato a Bologna nel 2007 dall’Afghanistan. Fuggiva dalla persecuzione degli Hazari per mano dei Talebani, nel biennio dal 1997 al 1998. Una volta arrivato in Italia, ha deciso di costruire qui la sua nuova vita creando il ristorante Kabulagna, situato in via Saffi. Questo è il primo ristorante etnico afghano della città e unisce il cibo tipico del Paese a quello della tradizione bolognese. Da mesi Nawazi segue con apprensione cosa accade in Afghanistan, preoccupato per le sorti dei suoi familiari. “Come sto? Sono molto stanco. Non dormo da diverse notti. Io e la mia compagna passiamo le nostre giornate nell’attesa: alle 4 del mattino ci colleghiamo con i familiari rimasti in Afghanistan per sapere come stanno. Per adesso è tutto quello che abbiamo. Le comunicazioni sono ancora abbastanza agevoli, per fortuna. Temiamo il futuro” dice
L’appello per un corridoio umanitario
Principalmente teme per le sorti delle donne della famiglia. “Sono quelle più a rischio in questo momento – spiega – anche se per ora i Talebani vogliono mostrare un’apertura nei confronti della popolazione e dell’Occidente. Puntano al riconoscimento internazionale prima di manifestare in pieno la loro crudeltà. Ho provato a lanciare diversi appelli per aprire un corridoio umanitario per i familiari di persone che già vivono in Europa, anche se la mia preoccupazione principale è che i civili riescano ad abbandonare prima di tutto il Paese”. La realtà che lo chef racconta è tragica: l’Afghanistan, ormai nelle mani dei Talebani, sembra attualmente una polveriera pronta ad esplodere. “Non abbiamo ancora visto niente di quello che sarà. Nei centri più grandi i Talebani stanno aspettando di mostrarsi per quelli che sono. Non sono diversi da 20 anni fa. Sono cambiate le persone al comando, forse sono anche peggiori. Dicono che includeranno le donne, ma sostengono di volerlo fare “nei limiti dell’Islam”. Quello che dicono è molto diverso da quello che invece il loro arrivo ha causato: a Herat, storicamente presieduta dall’esercito italiano, sono state chiuse le Università e le scuole. Gli insegnanti lo hanno fatto prima ancora che lo facessero gli estremisti, perché il rischio era troppo elevato. Molte studentesse hanno dovuto nascondersi e ci sono persone che si sono attivate per trovare loro una casa dove restare. Sono attimi di terrore, questi. Molte stanno costruendo una vita fittizia: non possono dire di non essere sposate o fidanzate perché rischiano la vita, così inventano di avere compagni che si trovano in Iran o ingaggiano veri e propri fidanzati finti”.
L’assalto ai negozi per i burqa
Durante le conversazioni con i familiari ancora bloccati nel Paese si discutono le prossime mosse; le operazioni più prudenti da effettuare per salvarsi la vita. “Le mie parenti sono chiuse in una stanza. Non escono da lì – racconta il ristoratore -. Anche nei video diffusi dai media occidentali si nota l’assenza di donne e bambini. Sono tutti nascosti da giorni. C’è stato un vero e proprio assalto ai negozi di abbigliamento per trovare un burqa, per esempio. Quel capo era di uso comune 20 anni fa, costava poco ed era praticamente l’unica cosa che una donna poteva acquistare. Adesso invece i prezzi sono schizzati alle stelle e i capi sono pochi. I negozi di abbigliamento di questo genere sono gli unici ad essere aperti. Tutti gli altri, insieme a centri estetici e parrucchieri, hanno chiuso. Dicono che le donne potranno lavorare, ma come pensano di assicurare questo diritto se tutte le attività hanno abbassato le saracinesche? A loro resterà solo l’ambito sanitario perché la Sharia non permette alle ragazze di essere visitate da un medico dell’altro sesso. Però si pone la questione degli studi: se non possono frequentare l’Università, come possono diventare medici?”.
Il riconoscimento da parte dell’Occidente
Nei piccoli centri afghani, i talebani hanno iniziato a prelevare le donne dalle loro case per costringerle a sposare i combattenti. “Agiscono lì dove i riflettori non sono puntati – racconta Nawazi -. Da tempo rapiscono le ragazze e le costringono a diventare le spose dei soldati. Sono quotidiane le violenze e i rapimenti, con la conquista di Kabul questo fenomeno non sarà contrastato in alcun modo. Per il momento dicono di non voler limitare la libertà femminile, ma è solo per tranquillizzare i Paesi occidentali che dovrebbero riconoscerne lo Stato. Hanno intenzione di cambiare persino la bandiera nazionale. Le ragazze chiudono i loro profili social perché gli smartphone sono vietati, ma principalmente lo fanno per paura. Anche noi siamo molto attenti a quello che postiamo per evitare che riescano a raggiungere le nostre famiglie. Hanno tutti gli strumenti per farlo. Molto spesso trovano le ragazze proprio tramite internet. Questa è una situazione nuova per quelle bambine che non hanno conosciuto le violenze di un governo dei talebani. Molte fingono di avere un fidanzato, bruciano i documenti che attestano ogni tipo di istruzione e creano una vita a misura di Sharia per sopravvivere”.